Di seguito, un’analisi dopo la conclusione del Forum voluto dal ministro Andrea Riccardi. Altri articoli sul Forum (a cominciare dal pezzo che per primo ha denunciato gli sponsor imbarazzanti come Eni), sul testo di legge discusso in parlamento e sul futuro della cooperazione, sono nel Dossier Cooperazione internazionale.
Si spengono i riflettori sul Forum della cooperazione. L’evento si è concluso oggi a Milano con la promessa del ministro-mentore Riccardi che la festa non è finita ma continuerà su «un tavolo virtuale, come una consulta permanente». E noi di Comune-info, puntuali come un mal di denti, ci consideriamo già seduti comodi online per continuare a discutere di cooperazione come politica pubblica e internazionalizzazione delle imprese. Si, perché quando molti anni fa cominciavo a studiare di politica estera apprendevo dai manuali che tra le tante attività dei sistemi-Paese figuravano sia la cooperazione allo sviluppo, sia la proiezione estera dei sistemi di produzione e di consumo nazionali. Entrambi, ma distinti. Entrambi motori della globalizzazione, ma, auspicabilmente, il primo a spingere per un’internazionalizzazione della solidarietà, il secondo dedicato di profitti. Di solito tra l’uno e l’altro ci stava bene anche un accapo.
Fino a qualche anno fa, infatti, si aveva pudore a mescolare il commercio internazionale, cioè i soliti vecchi affari, alla cooperazione allo sviluppo, nata proprio per riparare alle rapine del colonialismo a danno dei sistemi economici del cosiddetto «Terzo mondo» o, almeno, per tentare di ricostruire la reputazione degli ex-schiavisti. Oggi, invece, dopo due giorni di Forum una cosa è chiara: la crisi placa gli antichi rimorsi e stiamo entrando a passo svelto nella fase del «si salvi chi può» anche in questo settore.
Ma partiamo dai fatti. Il presidente del consiglio Monti, richiamando le parole del presidente della Repubblica Napolitano, nel suo intervento al Forum ha sottolineato che «la cooperazione allo sviluppo è politica estera nel senso più nobile ed elevato della parola». Il che significa per lui che «in maniera innovativa per i tempi, la legge 49 che istituisce la cooperazione allo sviluppo italiana la definisce ‘parte integrante della politica estera dell’Italia’, riconoscendone un ruolo qualificante per il perseguimento degli obiettivi di politica estera e la tutela degli interessi del Paese». Interessi, si, avete letto bene. La cooperazione dei nostri giorni è «un valore portante anche per la crescita dell’economia italiana», altro che solidarietà internazionale, come pensiamo noi vecchi fricchettoni. Il ministro degli esteri, Giulio Terzi, arrivando al Forum ha chiarito che essa «è un modo per relazionarci, sostenere il ruolo dell’Italia e affermare anche l’internazionalizzazione delle nostre aziende ed è poi un valore fondamentale per tutto quello che riguarda gli elementi costitutivi della nostra azione esterna». E’ per questo che la cooperazione allo sviluppo, secondo il titolare della Farnesina, «deve essere vista, collegata e incardinata nella politica internazionale del nostro Paese». I rapporti tra l’Italia e i Paesi più poveri di lei devono cambiare, ha avvertito Terzi: «da una logica di assistenza e di aiuto ad una di partenariato con le nostre controparti».
E guardiamolo da vicino uno dei recenti partenariati stretti da Terzi per nostro conto. Parliamo dell’accordo-quadro con il Burkina Faso, il cui presidente Blaise Compaoré insediatosi al potere dopo un sanguinoso golpe, è stato accolto proprio al Forum di Milano con gran sussiego. L’Italia, in cambio di impegni sulla sicurezza e i flussi migratori che sembrano voler fare del Burkina una delle nuove dighe alle migrazioni dopo l’implosione dell’argine libico, ha espresso l’intenzione, per bocca dello stesso Terzi «di coinvolgere operatori privati nei settori dell’acqua, energia, agricoltura e sicurezza alimentare». Un modello di intervento assolutamente condiviso dal ministro dell’economia Grilli che, sempre a Milano, ha fatto eco al collega di governo chiarendo che, in tempi di crisi i fondi a disposizione della cooperazione «Saranno sempre meno di quanto richiede chi opera nel settore». Anche per questo, commenta Grilli, serve un maggiore coinvolgimento del «privato vero» per raggiungere gli impegni assunti in sede internazionale.
Come in un vero duetto d’opera, dopo che la cornice narrativa era stata accordata ad ogni livello di governo, l’Ad di Eni, main sponsor del Forum, ha potuto intonare il suo impegno, interpretando al meglio tutti gli interessi di settore. Nel suo assolo in apertura di evento, infatti, ha mostrato i muscoli ricordando che la sua società, in Africa, è «di gran lunga il primo produttore di petrolio». «Il nostro primato deriva dalla nostra organizzazione, e anche dalla solidità finanziaria, senza la quale, sarebbe impossibile portare avanti i colossali investimenti necessari», ha aggiunto Scaroni. Ma, ha avvertito «abbiamo un asso nella manica»: «Il punto fondamentale da cui partiamo, quando parliamo di petrolio, in particolare nei paesi in via di sviluppo, è che il petrolio è loro, non è nostro». Grazie a questa ‘visione’ e atteggiamento, ha spiegato, «noi, meglio di altri, riusciamo a evitare presenze invasive e atteggiamenti imperialistici e predatori: è un atteggiamento mentale, eredità di Mattei, grazie al quale continuiamo a crescere in Africa più di altri».
Scaroni ha poi ricordato l’intervento della società «nel settore dell’elettricità». «Non ci può essere sviluppo, se non c’è elettricità – ha sostenuto -: acqua per sopravvivere ed elettricità per lo sviluppo». A questo proposito, Scaroni ha rammentato che Eni (nella foto, un pozzo Eni nel Delta del Niger) produce «il 20 per cento dell’elettricità in Nigeria», il 60 per cento in Congo e, «passo dopo passo, sta diventando uno dei più grandi produttori di energia elettrica del continente».
Se posso permettermi la licenza di riassunto, insomma, secondo quanto affermato tutte le critiche delle Ong sono ingiustificate perché se Eni domina il mercato in Africa è perché è più capace di altri, non più aggressiva e spregiudicata, come sostengono invece tutte le campagne internazionali che denunciano le sue pratiche e Amnesty international, ricordate da Comune-info nel suo speciale cooperazione. Gran merito di Eni è permettere – a chi ne abbia voglia – di accendere un lume votivo sotto il santino di Mattei, patrono della ripresa italiana, persino nei Paesi africani più sottosopra. E se quei Paesi pagano per il servizio salate bollette, che i cittadini più poveri non potranno mai permettersi, poco importa: gli affari sono affari. Affari urgentissimi visto che, come ha rivelato l’ong Aibi, mentre a Milano il premier Monti rassicurava i convegnisti che in qualche modo i fondi per la cooperazione sarebbero stati ricavati, da Roma Emilia Gatto, capo ufficio della VII Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del ministero degli affari esteri, emetteva una dichiarazione shock: «Non ci sono i fondi. Le mie dotazioni per il sostegno economico delle Ong per il 2012 sono pari a zero. Non è una vergogna non avere fondi in un momento difficile».
Spiace leggere che il ministro Riccardi abbia risposto a chi ha criticato la scelta di Eni come main sponsor del Forum, di non essere stato in grado di trovare altri finanziatori. La società civile italiana è nota per fare le nozze con i fichi secchi, e considerata l’esperienza in grandi eventi fatta dal Forum di Genova 2001 fino al Forum sociale europeo prossimo venturo, nonché quella quotidiana delle migliaia di piccole imprese delle economie solidali che danno da vivere e da lottare a milioni di nostri concittadini, siamo certi che se avesse parlato apertamente delle sue ambasce in molti avremmo potuto suggerirgli mille altri modi per organizzare un forum all’altezza, senza piegarsi a tal scomoda passerella. Se invece si tratta di archiviare per la cooperazione italiana l’esperienza di solidarietà internazionale pubblica e popolare, e di far largo ad altre «meravigliose sorti e progressive», come abbiamo motivo di ritenere, lo faccia come Terzi, Grilli e Scaroni, con fiera convinzione, a testa alta. D’altronde anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, candidando la sua città ad ospitare l’Agenzia per la cooperazione pubblica prossima ventura, ha sostenuto che essa potrebbe essere essere il contenitore adatto «per progetti non solo di solidarietà. Un luogo che possa riunire tutte le forze: volontariato, ong, imprese, enti locali, governo e Unione europea». In una cosa ci sentiamo di dar ragione al ministro Riccardi: l’ha detto in conclusione di forum, «quando manca l’Italia nel mondo, manca la simpatia». Titoli di coda, applausi, dissolvenza.
17 thoughts on “La cooperazione non vende fumo. Semmai petrolio”