Il passaggio da Torpignattara a Roma è linea di confine.
Percorrendo la Casilina i volti mutano e quel treno, che come lenta macchia gialla interrompe i caseggiati, sembra passare attraverso regioni e paesi, bucare monti, varcare continenti. Nel giro di pochi chilometri le scritte delle insegne dei negozi cambiano carattere, mutandosi da ideogrammi a caratteri latini. Famiglie linguistiche si accostano e si ignorano, in un silenzio che mormora del rotolamento di pneumatici.
È il segno di una profonda modificazione, dove il centro respinge in provincia lo straniero e lo straniero ingloba i provinciali che annaspano in un:” questo è l’unico bar italiano rimasto”. Gli orgogli nazionalisti del barista si stingono osservando il suo grembiule che reca bianchi ideogrammi cinesi, che a detta dell’uomo è il nome dello sponsor del bar.
La violenza taciturna della provincia è urlata da chi vive la notte come liberazione e il muro come megafono. I graffiti si accumulano, le pareti si riempiono. Quelle bombolette non sono però solo il grido di autoaffermazione delle crew, non sono solo tag, non sono solo le belle scritte anarchiche ma anche un animalesco marcare il territorio. E così alla notizia della comparsa di una scritta in solidarietà ai casamonica, gli sguardi dei compagni della Casa del Popolo si incupiscono, le labbra ci corrugano.
La liberazione della notte può gettare i semi della violenza e se lo Stato sa essere potere e cappio, l’assenza dello Stato rischia di trasformarsi nel predominio dei più forti. Nell’assenza, di notte i deboli sono destinati a soccombere. I deboli sono i due immigrati arrivati trafelati alla Casa del Popolo, dopo che gli era stato rubato un furgone e dopo che la loro lingua costruiva soglie di incomunicabilità con i carabinieri.
Riconoscere il debole come naturale alleato rischia di essere comunque un’ingenuità che non ci si può permettere. Quel: “Al mio paese non ci sono furti perché la polizia spara in testa ai ladri” sta risuonando ancora nella Casa del Popolo.
Il quadro delle periferie è questo con buona approssimazione. E in questo contesto si innesta la Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti.
La locandina reca “innovare l’organizzazione, riprendersi il futuro, costruire l’opposizione politica e sociale”.
Non resta che incitare i compagni alla partecipazione perché, senza il coraggio e l’impegno di tutti, è fin troppo evidente che le contraddizioni del sistema capitalistico non porteranno inevitabilmente al socialismo, ma più realisticamente alla barbarie.
“Ci manca tutto, ma non il coraggio” ha sottolineato a chiusura di intervento una giovane compagna. Tocca ripeterselo, con l’auspicio che la bandiera rossa ridiventi straccio sventolato dal più povero.
Carmine Falco
retirement research [url=https://dataput.ru]https://dataput.ru[/url] los angeles long distance movers