Questa è una intervista realizzata a più mani* ad Hamid Hasson, infettivologo e voce storica di Un Ponte Per. Hamid è stato protagonista, durante gli anni dell’embargo all’Iraq, del progetto “Sindbad” di Un Ponte Per: insieme al dottor Giovanni Gaiera, suo collega all’Ospedale San Raffele di Milano, negli anni dell’embargo ha sostenuto gli ospedali di Bassora e Baghdad per combattere le morti per malattie curabili come la diarrea che ogni anno, a causa dell’impossibilità di sanificare gli acquedotti, hanno rappresentato la principale causa di morte nell’infanzia.
Il progetto ha sostenuto per diversi anni l’opera di contrasto in età pediatrica di patologie oncologiche, anche attraverso l’invio di farmaci chemioterapici, la cui importazione era vietata perché considerate dagli Usa come potenziali armi chimiche.
Hamid è un infettivologo oggi in prima linea nel cuore dell’epicentro italiano della pandemia da Covid-19, la Lombardia: lavora da decenni al San Raffaele di Milano, nell’ambito della sua specializzazione si è occupato prevalentemente di Hiv ed epatologia, ma in questo periodo è stato dirottato a fronteggiare il Coronavirus.
E’ stanco, quando ci sentiamo via Skype, ma felice di condividere con noi le sue riflessioni cercando di ragionare su cosa significhi questa contabilità terribile dei morti e degli ammalati e di ragionare su ciò che va fatto e sui limiti evidenti del sistema sanitario italiano.
Hamid ci ricorda che sono oltre 40 anni che si trova in Italia. Quando era partito per studiare medicina, il primo anno a Perugia e i successivi all’Università di Milano, pensava che una volta laureato sarebbe ritornato in Iraq, a Baghdad, la città in cui è nato. Aveva scelto di diventare infettivologo proprio per poter contribuire a contrastare nel suo paese e in tutto il Medio Oriente patologie particolarmente virulente. Poi la storia ha cambiato corso, con l’Iraq di Saddam Hussein che sceglieva la guerra all’Iran e poi tutte le guerre del Golfo successive. Grazie al San Raffaele, una istituzione sanitaria privata, riesce a vincere l’ostilità dell’Ordine dei Medici di Milano che, per tre anni, gli ha impedito l’iscrizione all’albo e di praticare la professione medica secondo la legge italiana. Raccogliamo una vena di amarezza quando lo dice. Non deve essere stato facile diventare medico in Italia nonostante la laurea conseguita in una nostra università.
Hamid, tu che sei in contatto con medici infettivologi di altri Paesi, compreso l’Iraq, ci puoi spiegare quale è la linea di tendenza in corso in merito alla propagazione del contagio da coronavirus?
Attualmente, al 30 marzo 2020, nel mondo si hanno oltre 748.000 casi conosciuti di persone contagiate, 36.000 decessi e 150.000 guariti (in buona parte, quest’ultimi, in Cina). Riportiamo i dati per paese.
Abitanti | Casi conosciuti | Decessi | Guariti | |
Mondo | 7.673.033.260 | 748.207 | 36.117 | 148.870 |
USA | 329.064.917 | 143.532 | 2.572 | 2.665 |
Italia | 60.550.075 | 101.739 | 11.591 | 13.030 |
Spagna | 46.736.776 | 85.195 | 7.340 | 14.709 |
Cina | 1.433.783.686 | 81.470 | 3.304 | 75.582 |
Germania | 83.517.045 | 63.929 | 560 | 9.211 |
Iran | 82.913.906 | 41.495 | 2.757 | 12.391 |
Francia | 65.129.728 | 40.174 | 2.606 | 7.226 |
Gran Bretagna | 67.530.172 | 22.141 | 1.408 | 151 |
Belgio | 11.539.328 | 11.899 | 513 | 1.359 |
Turchia | 83.429.615 | 9.217 | 131 | 105 |
Israele | 8.519.377 | 4.347 | 16 | 132 |
Arabia Saudita | 34.268.528 | 1.453 | 8 | 66 |
India | 1.366.417.754 | 1.071 | 29 | 95 |
Iraq | 39.309.783 | 547 | 42 | 143 |
Libano | 6.855.713 | 438 | 10 | 30 |
Giordania | 10.101.694 | 246 | 0 | 18 |
Palestina | 4.981.420 | 97 | 1 | Non noto |
Ormai da settimane l’Onu parla espressamente di pandemia e ciò è dimostrato anche dalla velocità con cui il contagio sta viaggiando. L’ Europa (Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna) ha perso tutto il tempo che aveva a disposizione per prepararsi: è rimasta assolutamente ferma. Siamo ancora in tempo per intervenire a livello mondiale ma dobbiamo muoverci. Dobbiamo aspettarci infatti una progressione dei numeri molto rapida e la preoccupazione riguarda certi paesi asiatici e l’Africa. Leggendo i dati, alcune situazioni sono particolarmente preoccupanti: in Belgio per esempio ci sono molti infetti per uno stato così piccolo, mentre la situazione indiana preoccupa per via della densità di popolazione con un sistema sanitario tanto fragile.
Parliamo della situazione in Italia vista dal tuo osservatorio di primo piano.
L’Italia, e il nord Italia in particolare, sono uno degli epicentri
di questa espansione. Si è detto che l’alto numero di decessi conosciuti
derivi dalla popolazione anziana con molte patologie cardio-vascolari e
diabete che la espongono a maggior rischio letale al Covid-19.
Questo non spiega però come ad esempio in Germania, che ha una
popolazione anziana pari a quella italiana, ci siano molte meno vittime.
Dobbiamo avere il coraggio di ricercare una spiegazione a questo fatto.
Probabilmente questo chiama in causa l’organizzazione stessa del
sistema sanitario. Probabilmente in Italia in paziente arriva in
ospedale molto tardi, con polmoniti già in stato avanzato, con rischio
maggiore di andare in terapia intensiva e quindi intubazione.
Sia il medico di base che i servizi di call center diretti dedicati al
Coronavirus, indirizzano all’ospedale solo i pazienti in condizioni
gravi. Con questa modalità si tralasciano i casi con problemi
respiratori nelle fasi intermedie che probabilmente sono quelli che
trovano maggiore beneficio dal ricovero e quindi dalle cure. I limiti
del sistema non hanno consentito il monitoraggio dei pazienti in maniera
sistematica e non è stato possibile gestire, o addirittura garantire le
cure sul territorio, senza ricorrere agli ospedali. L’evoluzione della
malattia è molto veloce, come si evince dalle immagini radiologiche dei
pazienti ricoverati, e non agire subito espone a un intervento tardivo
da parte del sistema sanitario. Il medico di base non ha avuto gli
strumenti necessari per monitorare i pazienti. Il sistema non era
organizzato per affrontare l’epidemia a livello capillare e con
rapidità. Non esistono protocolli precisi per i medici di base, e questo
la dice lunga su cosa è successo in queste settimane. Non conosciamo i
livelli di ospedalizzazione della Germania, per poter fare un confronto è
necessario anche sapere quanti pazienti ospedalizzati vanno in terapia
intensiva. Presumo però – è una supposizione perché non ho dati certi –
che il sistema sanitario tedesco intervenga molto prima sui pazienti,
rispetto a quanto abbiamo fatto noi.
Ci puoi spiegare perché questo virus è così aggressivo e contagioso?
L’attuale pandemia è causata da un virus a RNA (SARS CoV-2) che appartiene alla famiglia dei coronavirus, che si conosce da circa 70 anni. Il fatto che il coronavirus sia responsabile degli attacchi alle vie aeree è noto dal 2003, quando un virus che apparteneva alla famiglia dei coronavirus è stato individuato come causa della sindrome respiratoria acuta. Sono stati individuati tre gruppi con sottogruppi che colpiscono varie specie animali. Esiste una review del 2009 che descrive gli aspetti che riguardano l’evoluzione clinica. Questo virus colpisce le cellule umane ma non è integrato. Ha fatto un salto genetico dai pipistrelli all’uomo. Il salto è possibile dove c’è un contatto delle mucose umane con gli animali. SARS e MERS fanno parte della stessa famiglia. Sopravvie sulle superfici a lungo, ecco perché bisogna lavarsi accuratamente le mani, o disinfettarle. E’ aggressivo, ma non resistente ai disinfettanti.
Cosa si può fare per sconfiggerlo?
Per sconfiggere il virus serve quello che con uno slogan chiamo ORS: Organizzazione, Rapidità, Solidarietà.
La O è mancata assolutamente. La R altrettanto: si è agito in ritardo.
La S non è esistita: a tutti i livelli, dal mondo all’Europa fino ai
Comuni, non c’è stata solidarietà.
Nel modello cinese i tre livelli sono stati applicati efficacemente,
circoscrivendo, limitando e fermando il contagio. A Lodi si è agito
rapidamente con un blocco totale e si ha avuto successo pur partendo con
un certo ritardo. Se l’Europa avesse fatto un intervento di solidarietà
fin dall’inizio dei primi casi a Lodi, oggi non si troverebbe in questa
situazione.
Il sistema italiano deve riconoscere i propri limiti. Limiti del sistema
sanitario, degli interventi di blocco troppo tardivi. La medicina del
territorio non ha funzionato. Continuiamo a mandare allo sbaraglio il
personale sanitario a cui mancano spesso i dispositivi sanitari di
protezione come dimostra l’alto numero di colleghi e di infermieri
contagiati, e fino ad ora il numero di medici che abbiamo perso è
impressionante: oltre 60 vittime. Non ci sono protocolli a disposizione
per i medici, tutti ci inventiamo qualcosa e tutto dipende dalla buona
volontà del singolo operatore sanitario.
Hai una tua idea di protocollo, su come dovrebbe funzionare?
Quando il paziente manifesta i primi sintomi al call center o al medico di base occorre agire subito.
Servono squadre di intervento rapido protetto per eseguire gli
accertamenti necessari e decidere il percorso adatto. Con sintomi gravi e
polmonite vanno ricoverati in ospedale senza perdere tempo.
Se non ci sono posti disponibili va somministrata la terapia a
domicilio. Noi abbiamo un servizio sanitario universale e questo ci
permetterà, nonostante i ritardi e le lacune che abbiamo detto, di
fronteggiare in modo egualitario questa malattia. Cominceremo a vedere
la luce in fondo al tunnel fra due-tre settimane in Lombardia. Per
quanto riguarda la sanità privata il gruppo San Donato, a cui fa capo il
San Raffaele, copre un quinto dei posti letto per Covid. Il sistema
sanitario deve avere delle regole ed un’organizzazione.
Qual è la situazione nei paesi in cui operiamo con Un Ponte Per?
Ho avuto un colloquio in remoto con colleghi a Dohok, nel nord
dell’Iraq, nella regione del Kurdistan, sul confine con la Turchia: le
città di Sulaymaniyia ed Erbil sono state chiuse per evitare il contagio
dall’Iran. Il contagio in Iraq è infatti avvenuto dall’Iran a causa dei
tanti viaggi, soprattutto quelli religiosi. Il dato in Iraq è di 547
casi, con 42 decessi e 143 guariti (al 31 marzo, ndr). Sono molto
preoccupato per la situazione a Baghdad dove due ospedali su tre
incominciano a soffrire: a Baghdad c’è un coprifuoco non rispettato
rigidamente. A Kerbala e Najiaf si registrano numeri importanti. Ci
dobbiamo aspettare purtroppo una impennata. Una settimana fa si è tenuta
una manifestazione religiosa in una moschea sciita che i capi politici e
religiosi non hanno bloccato.
In Giordania c’è caos anche con i numeri che risultano bassi (246, 0
decessi). In Siria sono stati dichiarati soltanto 9 casi con un decesso,
dato non credibile circondata com’è da paesi con una larga diffusione
del virus. In Arabia Saudita 1.453 casi con 8 decessi: sono numeri non
credibili visti i pochi decessi. L’Egitto vede 576 casi con 36 decessi e
i numeri sono in salita. Israele dichiara 4.347 casi con 12 decessi:
anche in questo caso bisogna capire come siano possibili così pochi
decessi. Va sottolineato il fatto che in Europa stiamo giocando nei
tempi supplementari: o si gioca bene, oppure la partita si perde pagando
un prezzo molto alto in termini di vite umane ed economici. Se l’uomo
dimostrerà di avere un’intelligenza superiore al virus con la
solidarietà umana potremo sconfiggerlo. Io sono credente, musulmano,
metà sciita e metà sunnita. Sin da bambino ho frequentato sia le moschee
sciite che quelle sunnite, e di questo sono orgoglioso. Prego, perché
possiamo uscirne.
* Intervista a cura del Comitato di Milano e Monza di Un Ponte Per
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