La crisi del settore automobilistico, acuita dalla pandemia e aggravata dalla carenza di semiconduttori, continua a minacciare tutti i lavoratori e le lavoratrici della Stellantis di Melfi. Lo scorso 25 giugno, dopo 36 ore di confronto, le organizzazioni sindacali avevano firmato con Stellantis un accordo in cui si era sancito che, a partire dal 2024, nell’indotto lucano sarebbe stata allocata la linea di produzione di 4 nuovi modelli elettrici di brand diversi e di un’area di assemblaggio delle batterie elettriche. Intanto sarebbe continuata la produzione delle vetture in loco con l’evoluzione prevista dal piano industriale 2018/2019. I lavoratori aderenti al Comitato degli iscritti FIOM/CGIL dello stabilimento, insieme agli esponenti RSU Principio Di Nanni e Antonio Gravinese (appartenenti a un’area di minoranza della CGIL), avevano bocciato l’esito della contrattazione, evidenziando come il suo contenuto fosse una mera ratifica delle condizioni dettate dall’azienda e paventandone tutta la potenziale nocività a carico dei lavoratori. Un potenziale che sembra essersi concretizzato, come riscontrato dalle testimonianze dei lavoratori dello stabilimento lucano. «La critica rispetto alle proposte avanzate dalla società parte dalla procedura attraverso la quale la trattativa è stata condotta – afferma Iolanda Picciariello, lavoratrice Stellantis – Contestiamo il mancato coinvolgimento dei lavoratori in una decisione così importante per il loro futuro, laddove la storia della nostra organizzazione ci insegna che dal confronto possono scaturire soluzioni migliori per entrambe le parti. Da anni ci sembra di assistere a decisioni prese e imposte unilateralmente dall’azienda, rispetto alle quali abbiamo la sensazione che il sindacato si limiti ad accondiscendere. Nonostante la dialettica fosse stata assicurata nelle assemblee, di fatto, abbiamo saputo dell’accordo a cose concluse».L’accordo escludeva licenziamenti a Melfi e negli altri stabilimenti italiani del gruppo e, nonostante l’azienda lo abbia formalmente rispettato, molti parlano di tagli mascherati attraverso lo strumento dell’incentivo all’esodo. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a fronte dell’erogazione di una somma di denaro, infatti, ha trovato riscontro soprattutto tra gli operai più giovani; pochissime sono state le adesioni tra gli operai storici la cui età si attesta intorno ai cinquant’anni. «Dato che l’età media dei lavoratori di Melfi è piuttosto bassa, ci siamo interrogati se realisticamente fosse possibile che un numero cospicuo di operai potesse usufruire dell’accompagnamento alla pensione, realizzando la cosiddetta “staffetta generazionale” paventata anche dal Sole 24 Ore – continua Iolanda Picciariello – Le nostre riflessioni ci hanno portato a concludere che forse l’effetto dell’accordo avrebbe portato alla fuga i giovani assunti con il Jobs Act. E abbiamo avuto ragione: alla fine non solo non c’è stato alcun ricambio generazionale ma ci è anche stata imposta la linea unica dopo lo smantellamento della neonata catena dedicata alla produzione dei modelli elettrici. Tutto ciò nonostante l’idea fosse stata avversata durante le assemblee delle organizzazioni sindacali». In questa fase di transizione i lavoratori e le lavoratrici ribadiscono il loro diritto a partecipare più attivamente al processo di concertazione e avanzano le loro proposte.«Siamo consapevoli di vivere in un’epoca di cambiamento e saremmo fuori dal mondo se restassimo legati al passato ma, considerato che le lavorazioni sui veicoli elettrici sono di gran lunga inferiori, chiediamo che ci sia una riduzione dell’orario a parità di salario. Non stiamo inventando nulla: i paesi del Nord Europa hanno già sperimentato con successo turni di 6 ore. E non solo: un esperimento condotto nella capitale islandese ha visto il successo della settimana lavorativa di 4 giorni che ha permesso di conservare invariata la produzione senza riduzione di stipendio».Stefania VillaniRadio Vostok
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