Cremaschi sullo sciopero generale

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SCIOPERO DEL 18 MARZO. CI SARÒ – CUB, SICOBAS e USI-AIT hanno proclamato per il 18 marzo uno sciopero generale contro la guerra, l’attacco ai diritti sociali e del lavoro, l’accordo interconfederale sulla rappresentanza. Dico subito che auguro la migliore riuscita alla giornata di lotta e che darò il mio piccolo contributo partecipando alla manifestazione di Milano, alle 9,30 in Largo Cairoli. Il 12 marzo siamo stati in manifestazione contro la guerra e il fatto che ora ci sia uno sciopero su questo difficile tema, merita riconoscimento e sostegno. Credo che non si possa fare lotta sociale e di classe senza generosità, cioè senza riconoscere valore alle lotte anche se non sei tu o chi è vicino a te a organizzarle.
Detto questo però non posso fare a meno di aggiungere una riflessione che probabilmente è solo mia, ma che a me sembra importante. Siamo di fronte ad un disastro che dilaga nel mondo del lavoro e ad una passività e complicità senza precedenti di CGIL CISL Uil. La sfiducia e la disistima verso queste organizzazioni è vastissima e di essa fanno largo uso Renzi, Marchionne e tutto il potere economico per distruggere i diritti sociali nel nome della lotta ai vecchi privilegi sindacali. Così il potere da un lato usufruisce degli accordi di resa che firmano i grandi sindacati confederali, dall’altro usa quella stessa resa per convincere i lavoratori che il sindacato non serve a niente. Due sconfitte per noi al prezzo di una vittoria per i padroni. Ma il clima antisindacale dell’Italia renziana sta creando anche uno spazio enorme per un sindacalismo fuori dal palazzo e disinteressatamente conflittuale. Di questo sentiamo ogni giorno la domanda crescente ovunque. Certo non sempre questa domanda si traduce in lotta. Ma dai facchini, agli insegnanti, ai tranvieri, agli operai Fiat che la FIOM vuole cacciare perché scioperano, ai tanti silenziosi resistenti in tanti posti di lavoro pubblici e privati, ovunque ci volgiamo vediamo che c’è chi lotta o vorrebbe lottare. E cresce il bisogno di sindacato vero. Il sindacalismo conflittuale e di base non è mai stato diviso come ora che Cgil CISL Uil sono in ritirata. L’ultima rottura è determinata dall’accordo del 10 gennaio 2014, che Usb, Cobas, Orsa e altre organizzazioni hanno sottoscritto, mentre i promotori dello sciopero del 18 no. Non ci sono grosse differenze di giudizio sul senso autoritario e corporativo di quell’accordo tra questi due fronti del sindacalismo di base, ma certo la differenza di comportamento pesa. E così nemmeno si tenta più di mettere assieme le forze, ora che ce ne sarebbe più bisogno e che ci sarebbero più possibilità di successo.
Non si può continuare a tacere su tutto questo, ognuno praticando onestamente e generosamente le proprie battaglie senza vedere quelle degli altri e la necessità di mettersi assieme. Buono sciopero il 18 marzo, compagne e compagni, ma poi discutiamo”.

Partecipando allo sciopero, il messaggio che manda G. Cremaschi è senza dubbio positivo. La riflessione che pone è importante e di certo non è solo sua. Nel contesto in cui diverse concezioni del sindacato e della lotta sindacale si contendono il terreno, al punto che, come dice Cremaschi “nemmeno si tenta più di mettere assieme le forze, ora che ce ne sarebbe più bisogno e che ci sarebbero più possibilità di successo”, la situazione generale, il contesto della lotta di classe, impone un salto in avanti. Un salto che è condizione preliminare per trattare le differenze e le contrapposizioni in modo positivo, un salto duro a compiersi, però, benché sia nel senso delle cose, perché il suo contenuto è propriamente il salto da una concezione del sindacato “per come è sempre stato” e per come lo abbiamo conosciuto a un sindacato di tipo nuovo.

“Per svolgere un’attività sindacale efficace nella nuova situazione creata dalla fase acuta e terminale della crisi del capitalismo, bisogna che le organizzazioni sindacali conflittuali impieghino le loro forze, le loro relazioni, il loro prestigio sul terreno politico. Attenzione che “terreno politico” non vuol dire crearsi una sponda politica nelle istituzioni borghesi: cercare un qualche partito che faccia da portavoce degli interessi dei lavoratori o mandare propri esponenti in Parlamento per condizionare in senso favorevole ai lavoratori l’azione del governo. E neanche diventare un “sindacato comunista”, cioè unificare nella stessa organizzazione la lotta sindacale e la lotta politica: sarebbe un cattivo sindacato (non unirebbe i lavoratori su grande scala e lascerebbe gli altri lavoratori nelle mani degli agenti della borghesia) e un cattivo partito rivoluzionario (ridurrebbe la sua azione a rivendicare miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro sempre sotto la direzione dei capitalisti).
Significa contribuire con la forza e il prestigio dell’organizzazione sindacale alla riscossa generale dei lavoratori e delle masse popolari: promuovere la mobilitazione dei lavoratori a occuparsi della salvaguardia delle aziende, l’organizzazione dei precari, dei cassintegrati, dei disoccupati, la mobilitazione comune per dare al paese un governo deciso e in grado di attuare le misure d’emergenza che le organizzazioni sindacali stesse già indicano come necessarie. In sintesi: per svolgere un’attività sindacale efficace nonostante le condizioni attuali, occorre un sindacato con un “piano di guerra” contro i padroni e le loro autorità, che funziona da scuola di organizzazione, di solidarietà, coscienza e lotta di classe” – da Resistenza n. 2/2016 “Scissione nell’USB: nasce il SGB. Alcune questioni di orientamento sulla lotta dei sindacati di base e conflittuali”

crazyhorse

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