Nella società dell’immagine, il contenuto va svuotato progressivamente. Le parole si uniformano, il lessico si fa anoressico, le idee, le lotte, i bisogni materiali non fanno più notizia.
Nel mare magnum dell’informazione, per non annegare, basta sganciare ogni zavorra. La Palestina con il consueto carico di manifestanti morti o feriti, con una situazione geopolitica complessa, con proiettili sulla folla, con acqua e luce a intermittenza rischia di non fare più scalpore o interesse.
La Palestina dei giornali è ritagliata a misura della miopia dell’occhio europeo. Virale diventa l’immagine quando richiama l’arte, la bellezza, il piacere dello sguardo. Si torna a parlare di Palestina quando il manifestante Abu Amro può essere associato alla “Libertà che guida il popolo” di Delacroix, riducendo la lotta e la resistenza di un popolo a mero fattore estetico.
Era già successo con Asia Ramazan Antar,” l’Angelina Jolie curda”, la cui morte divenne strumento per i click facili dei siti di notizie.
Ma Gaza non è un set cinematografico.
A Gaza da 18 settimane si manifesta ogni lunedì sulla costa settentrionale.
Questo lunedì secondo la Mezzaluna Rossa ci sono stati 30 palestinesi feriti.
2 feriti da proiettili.
15 feriti da proiettili di gomma.
4 da inalazioni di gas.
8 colpiti da bombe lacrimogene.
1 ferito da schegge.
I numeri freddi vanno incisi per non perderne memoria. Sono numeri che coprono i nomi dimenticati di uomini comuni che lottano per sfuggire dall’oppressione e dall’isolamento.
Intanto a Gaza ci si prepara per la manifestazione del venerdì, la “grande marcia del ritorno”, in cui i profughi Palestinesi chiedono di ritornare nei territori che attualmente appartengono ad Israele.
Noi continueremo ad informare e a raccontare perché per alcuni resistere è l’unico modo per sopravvivere.
Said Almagd, Carmine Falco
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