Rivendicare l’ internazionalismo è una necessità che va oltre la semplice retorica, in tempi di cambiamenti del sentire comune. In alcune città la multietnicità diventa monumento, minareto, chiesa, sinagoga. Sarajevo rappresenta una multietnicità antica, figlia di dominazioni e guerre. Multietnicità che ha reso la capitale bosniaca la Gerusalemme d’Europa, con una convivenza pacifica di cristianesimo, Islam ed ebraismo. La scelta di Sarajevo per la conferenza “humanity has no borders” non è stata casuale. Ismail Sehic, direttore di Bravo (bosniac representative association for valuable opportunities) e presidente del settore per la cooperazione internazionale della Croce Rossa, spiega l’importanza del diritto alla salute e al l’istruzione, ma anche la necessità di trovare soluzioni al problema dell’integrazione. Nel 2018, sono arrivati dal mare in Europa 37.000 rifugiati. La Croce Rossa è stata capace di sopperire ai bisogni materiali ed essenziali dei rifugiati. Solo nel campo di Trnova sono stati distribuiti 32.760 pasti, nel centro accoglienza di Borici 121.255 pasti. L’accoglienza è anche fornire gli strumenti per superare le barriere linguistiche, informare sui diritti che tutelano l’individuo, fornire supporto legale. Questi ambiziosi obiettivi sono stati raggiunti grazie all’incessante lavoro dei volontari che operano sotto le diverse sigle. In Bosnia a questo grido di un’umanità sofferente rispondono, tra le altre, anche l’International Forum of Solidarity-Emmaus e le Aid Brigade. Dopo aver visto Roos Ykema (Aid Brigade) distribuire del cibo a quelli che vengono dopo gli ultimi, ci spiega che lei ed altri volontari nel campo di Usivak cucinano in una piccola cucina mobile per tutti quelli che ne hanno necessità. Tra le mani di questi volontari la bandiera rossa sembra veramente ridiventata straccio e sventolata dal più povero. Mentre le tipologie e le varie pratiche di volontario si susseguono e accavallano, l’umanità irrompe. Un rifugiato iraniano ci racconta delle violenza della polizia croata mentre ci confessa che aveva solo due scelte: partire o morire. Mohammed con orgoglio afferma che il figlio è un bravo calciatore, ma può giocare solo durante gli allenamenti perché non bosniaco. Ahmad, fuggito dalla Siria, ha trovato nell’attività di volontariato con la Croce Rossa una ragione di vita e uno strumento di integrazione. Ritornano le persone, con le facce, i volti e le storie e il sogno di un’umanità senza frontiere ridiventa una necessità per cui lottare.
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